Dal 7 ottobre 2023 al 18 febbraio 2024 Fondazione Palazzo Te, Palazzo Ducale di Mantova e Galleria Borghese si uniscono in un ambizioso progetto che rende omaggio a Rubens, il pittore che cosı profondamente trasse ispirazione dalla cultura classica, lasciando un segno profondo e indelebile nelle corti italiane ed europee. Rubens! La nascita di una pittura europea è infatti l’iniziativa che raccoglie i tre eventi espositivi organizzati dalle tre istituzioni per celebrare il maestro fiammingo che con la sua opera divenne protagonista assoluto del barocco: tre mostre che si inseriscono in una ampia operazione culturale dedicata ai rapporti tra la cultura italiana e l’Europa vista attraverso gli occhi di Rubens.
Dal 7 ottobre 2023 al 7 gennaio 2024, a Mantova Palazzo Te dedica all’artista Rubens a Palazzo Te. Pittura, trasformazione e libertà, una mostra di ricerca che si concentra in particolare sul rapporto tra il pittore fiammingo e la cultura mitologica che incontra in Italia. A cura di Raffaella Morselli, l’esposizione ha l’obiettivo di creare una rispondenza tra opere e motivi decorativi e iconografici del Palazzo: un percorso che dimostra quanto le suggestioni rinascimentali elaborate da Rubens negli anni mantovani e italiani siano continuate, nella pittura della sua maturità, fino a trasmettersi nell’eredità artistica lasciata ai suoi allievi. Le opere della mostra sono state scelte, in funzione del dialogo che riallacciano con i miti e dell’interpretazione che ne fece Giulio Romano nelle varie sale, fattori che contribuirono a generare nel pittore di Anversa una sintonia mai interrotta con il Rinascimento e il Mito.
Nello stesso periodo (7 ottobre 2023 – 7 gennaio 2024) Palazzo Ducale di Mantova dedica a Rubens il focus espositivo Rubens. La Pala della Santissima Trinità, incentrato su una delle più imponenti imprese portate a compimento dall’artista: il ciclo delle tre enormi tele per la Chiesa della Santissima Trinità, una delle quali – dopo incredibili vicende – è ancora oggi esposta a Palazzo Ducale e costituisce una tappa fondamentale nel percorso di questo artista. Rubens consolida il suo legame con Mantova quando, nel 1600, giunge da giovane pittore alla corte di una delle più importanti signorie italiane: i Gonzaga. Se ne andrà circa dieci anni dopo, trentenne, con la fama di indiscusso maestro. Il progetto espositivo presenta un nuovo allestimento museografico e illuminotecnico dell’intero Appartamento Ducale, voluto da Vincenzo I e realizzato da Antonio Maria Viani: qui sono esposte opere della collezione permanente dal tardo Cinquecento al Seicento inoltrato. Punto focale del percorso è la Sala degli Arcieri, dove è esposta la Pala la cui vicenda viene raccontata da una ricostruzione tridimensionale della chiesa della Santissima Trinità, oggi non più accessibile al pubblico.
Dal 14 novembre 2023 al 18 febbraio 2024 sarà la volta della mostra alla Galleria Borghese di Roma: Il tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma, a cura di Francesca Cappelletti e Lucia Simonato, indaga come le influenze del suo viaggio in Italia, compiuto nel primo decennio del XVII secolo, prendano un nuovo decisivo vigore negli anni successivi al suo ritorno in patria, anche grazie ai soggiorni italiani di suoi allievi fiamminghi. Il progetto sottolinea il contributo straordinario dato dall’artista, alle soglie del Barocco, a una nuova concezione di antico, di naturale e di imitazione, mettendo a fuoco la novità dirompente del suo stile nel primo decennio a Roma e come lo studio dei modelli potesse essere inteso come ulteriore slancio verso un nuovo mondo di immagini. L’eccezionale sede della Galleria Borghese offre inoltre l’opportunità inedita di vedere i grandi gruppi berniniani, la statuaria antica, le altre sculture moderne, spesso opera di artisti stranieri, in relazione diretta con i quadri e i disegni di Rubens, cogliendo quell’energia con cui l’artista investì i capolavori dell’antichità.
Rubens a Palazzo Te. Pittura, trasformazione e libertà
Come riesce Rubens a costruirsi un proprio glossario, un vocabolario di rinascimenti e manierismi italiani, partendo dalle Fiandre? Che lemmi inserisce nel proprio dizionario di immagini e di testi? E soprattutto chi e che cosa guarda per permettergli di elaborare una nuova lingua figurativa che non è né fiamminga, né italiana, ma potentemente fiammingaliana o italianinga?
L’immaginifica popolazione di divinità e di testi antichi inventati e citati da Giulio Romano a Palazzo Te furono la palestra ideale per il colto Rubens. L’intellettuale rinascimentale, che si era alimentato nelle Fiandre, durante gli anni della sua formazione culturale, di questo materiale latino e greco in testi e immagini trovava qui il luogo perfetto per immergersi nei sogni antichi. La mostra, articolata in dodici sezioni che seguono il percorso di visita di Palazzo Te, ha l’obiettivo di creare una rispondenza tra le opere mobili e i motivi decorativi e iconografici del Palazzo; si tratta di un percorso paradigmatico che dimostra quanto le suggestioni rinascimentali elaborate da Rubens durante gli anni mantovani e italiani siano proseguite ed evolute sulla sua pittura della maturità, fino all’eredità intellettuale e artistica lasciata agli allievi.
Le opere selezionate per questa mostra, dunque, sono state scelte in funzione del dialogo che riallacciano con i miti e con l’interpretazione che ne diede Giulio Romano nelle varie stanze, inducendo nel pittore di Anversa una sintonia mai interrotta con il Rinascimento e la favola mitologica. Sotto il tetto di Palazzo Te si consumò la conversione di Rubens da fiammingo ad italiano, e il suo mondo si tramutò in quello di un linguaggio universale con cui parlò a tutte le corti d’Europa. Attraverso questa immersione nella pittura italiana vista con gli occhi di Rubens, il suo personale manuale di storia dell’arte, è evidente che l’annosa domanda se Rubens sia da considerarsi fiammingo o italiano, è ormai superata. Rubens è l’uomo nuovo universale, che oltrepassa i confini religiosi, geografici e politici, per inventare un nuovo linguaggio che è, a tutti gli effetti, internazionale.
Una lingua figurativa europea, la prima della Storia dell’arte.
Rubens. La Pala della Santissima Trinità
Rubens arrivò a Mantova nel 1600 al servizio del duca Vincenzo I Gonzaga. Durante il suo soggiorno cercò ogni occasione possibile per spostarsi, per studiare l’arte italiana, conoscere artisti e committenti e lavorare ben oltre i confini della clientela gonzaghesca.
Il capolavoro mantovano di Rubens, nonché la sua opera più impegnativa, fu il trittico di dipinti per la chiesa della Santissima Trinità, fortemente voluta dai Gonzaga. Al centro del presbiterio era collocata la grande tela raffigurante la Famiglia Gonzaga in adorazione della Santissima Trinità, affiancata sulla parete di sinistra dal Battesimo di Cristo e sulla destra dalla Trasfigurazione. Al tempo delle soppressioni ecclesiastiche in epoca napoleonica, due delle tre tele furono subito rimosse. Nel 1797 i francesi, appena entrati in città, portarono via la Trasfigurazione, che raggiunse Parigi e fu quindi destinata a Nancy, dove si trova ancora oggi (Musée des Beaux-Arts, inv. 71). Nel 1801, dopo la parentesi di dominio austriaco (1799-1801), la città fu nuovamente occupata dalle truppe napoleoniche e il Battesimo di Cristo fu rubato “da un soldato francese”: il dipinto è ora ad Anversa, Koninklijk Museum voor Schone Kunsten (inv. 707).
La pala centrale rimase dunque a Mantova, nonostante un tentativo di furto e il taglio in due larghe fasce orizzontali, salvate insieme ad alcuni frammenti. Il dipinto è una grande celebrazione dinastica della famiglia Gonzaga. Come sempre accade nel lavoro di Rubens, infinite idee e suggestioni vengono rielaborate in un linguaggio autonomo di straordinaria modernità. Ogni dettaglio della sua opera prende nuova vita e assume un significato diverso, rivitalizzato e integrato in una nuova forma, in un modo di dipingere che è allo stesso tempo la sintesi delle tendenze dell’arte italiana tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, ma anche qualcosa di assolutamente nuovo: il seme dello stile barocco. Quando arrivò a Mantova (1600) Rubens era un giovane artista molto promettente; quando lasciò l’Italia (1609) era un maestro affermato e sarebbe presto diventato una stella del barocco europeo.
Il progetto espositivo che Palazzo Ducale di Mantova presenta per “Rubens. La nascita di una pittura europea” è un nuovo allestimento dell’intero Appartamento Ducale, voluto da Vincenzo I e realizzato dall’allora prefetto delle fabbriche gonzaghesche Antonio Maria Viani. Qui sono esposte opere della collezione permanente del museo che spaziano dal tardo Cinquecento al Seicento inoltrato: gli ambienti saranno valorizzati da un nuovo allestimento museografico e illuminotecnico. Punto focale di questo rinnovato percorso sarà la Sala degli Arcieri, dove è esposta la Pala della Santissima Trinità, la cui vicenda verrà raccontata attraverso un’innovativa ricostruzione tridimensionale della chiesa della Santissima Trinità, oggi non più accessibile al pubblico, dove sarà fruibile una restituzione dell’assetto originario della composizione con le tre grandi tele. Un allestimento permanente che si pone come momento imprescindibile per la comprensione della fase mantovana del grande maestro della pittura barocca.
Il tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma
Nel corso del Seicento Pieter Paul Rubens venne considerato dai suoi contemporanei, compreso l’erudito francese Claude Fabri de Peiresc e alcuni altri letterati pilastri della République de Lettres, uno dei più grandi conoscitori di antichità romane. Il passaggio romano e la contrastata commissione per la chiesa della Vallicella, oltre al suo ruolo nella rete di pittori e intellettuali stranieri vicini ai Lincei di Federico Cesi, hanno ricevuto una grande attenzione da parte degli studiosi.
Nulla sembra sfuggire alla sua capacità di osservazione e al suo desiderio di imparare e di interpretare gli antichi maestri: i suoi disegni rendono le opere che studia vibranti, aggiungono movimento e sentimento ai gesti e alle espressioni dei personaggi. Rubens mette in atto nelle storie lo stesso processo di vivificazione del soggetto che utilizza nel ritratto: i membri della famiglia Gonzaga escono ravvivati dal suo pennello mentre i loro sguardi si dirigono verso lo spettatore, ma la stessa cosa succede con i marmi e i rilievi e con gli esempi celebri della pittura rinascimentale. A Roma, con le vestigia del mondo antico, accade la stessa cosa: Rubens disegna, a sanguigna, quindi con un carboncino rosso che gli restituisce il colore, la famosa statua dello Spinario. Il foglio, che riprende la posa da due punti di vista diversi, sembra davvero eseguito da un modello vivente, invece che da una statua, tanto da far immaginare ad alcuni studiosi che il pittore abbia utilizzato un ragazzo atteggiato nello stesso modo della statua.
Questo processo di animazione dell’antico, per quanto eseguito nel primo decennio del secolo, sembra anticipare le mosse degli artisti che, nei decenni successivi al suo passaggio romano, verranno definiti barocchi.
Come le intuizioni formali e iconografiche di Rubens filtrino nel ricco e variegato mondo romano degli anni Venti è un problema che non è stato ancora affrontato in modo sistematico dagli studi. La presenza in città di pittori e scultori che avevano avuto modo di formarsi con lui ad Anversa (come Van Dyck e Georg Petel) o che già erano entrati in contatto con le sue opere nel corso della loro formazione (come Duquesnoy e Sandrart) garantì di certo l’accessibilità dei suoi modelli a una generazione di artisti italiani, i quali, non meno del fiammingo, si erano ormai abituati a confrontarsi con l’Antico alla luce dei contemporanei esempi pittorici e sulla base di un rinnovato studio della Natura. Tra tutti, Bernini: i suoi gruppi borghesiani, realizzati negli anni Venti, rileggono celebri statue antiche (l’Apollo del Belvedere) per donare loro movimento e traducono in carne il marmo, come avviene nel Ratto di Proserpina.
In mostra si potrà dunque misurare quanto questi capolavori siano in debito con il naturalismo rubensiano, così come lo furono di certo altre sculture giovanili dell’artista, quali la Carità vaticana nella Tomba di Urbano VIII, già giudicata dai viaggiatori europei del tardo Settecento ‘una balia fiamminga’. In questo contesto figurativo, la tempestiva circolazione di stampe, tratte dalle prove grafiche rubensiane, accelerò per tutti gli anni Trenta il dialogo sollecitando operazioni editoriali come la Galleria Giustiniana, dove le statue antiche prendono ormai definitivamente vita secondo un effetto già definito ‘Pigmalione’ dalla critica.
La mostra progettata per la Galleria Borghese, recuperando alcune di queste linee di ricerca, vuole sottolineare il contributo straordinario dato da Rubens a una nuova concezione dell’antico, dei concetti di naturale e di imitazione, alle soglie del Barocco, mettendo a fuoco in cosa consista la novità dirompente del suo stile nel primo decennio a Roma e come lo studio dei modelli potesse essere inteso come un’ulteriore possibilità di slancio verso un nuovo mondo delle immagini. Per fare questo la mostra terrà conto non solo delle opere italiane che documentano lo studio appassionato e libero dagli esempi antichi, ma anche della capacità di rileggere gli esempi rinascimentali e di confrontarsi con i contemporanei, approfondendo aspetti e generi nuovi.