Vasilij Vasil’evič Kandinskij (Mosca, 16 dicembre 1866 – Neuilly-sur-Seine, Parigi, 13 dicembre 1944) è stato un creatore di mondi, ha concepito un universo visivo, nuovo e libero, che prima non esisteva: l’astrattismo è forse la rivoluzione più determinante nell’arte del XX secolo eppure, non nasce da proclami o manifesti avanguardistici ma è il risultato di una lenta maturazione che ha origine nelle regioni e ragioni dello spirito.
Il mondo nuovo creato da Kandinskji, per cogliere quel lento e straordinario percorso artistico e creativo, è l’obiettivo di questa mostra (Palazzo Roverella, Rovigo, dal 26 febbraio 2022 al 26 giugno 2022) che Paolo Bolpagni e Evgenija Petrova hanno curato selezionando 80 opere, di datazione compresa fra il 1900 circa e il 1940, che coprono i diversi momenti della carriera di Kandinskji. Ad affiancarle, i dipinti dei compagni che lo hanno accompagnato lungo la strada, come Gabriele Münter, Paul Klee, Arnold Schönberg, Alexej von Jawlensky, Marianne von Werefkin, oltre che libri in edizione originale, documenti, fotografie, rari filmati d’epoca, cimeli e oggetti d’arte popolare. Lo spettatore potrà quindi seguire le orme di un genio lungo un cammino creativo le cui costanti furono il rapporto con la musica e le radici dell’anima russa, la ricerca di un’autenticità interiore, l’irrazionalismo spiritualistico. Per questo, è bene sapere che, per avvicinarsi a Kandinskij, ogni mezzo razionale è valido ma non sufficiente: la sua pittura non va guardata solo con gli occhi e con il cervello, bensì penetrata con l’ausilio di tutte le facoltà mentali e sensitive di cui disponiamo.
Sono tante le matrici da cui si generò il linguaggio visivo radicale di Kandinskji: dalla conoscenza dell’Impressionismo al fortissimo potere di suggestione esercitato su di lui dalla musica, alle frequentazioni nella Monaco Jugendstil e secessionista d’inizio Novecento, fino al legame, lui che veniva da una famiglia colta e benestante, con la cultura popolare della Russia profonda che, con i suoi oggetti, lo aveva affascinato fin dall’infanzia. Fondamentale, fu il viaggio di lavoro che fece nel governatorato di Vologda, in Siberia, nel 1889, quando era ancora uno studente di giurisprudenza. In quell’occasione ebbe modo di studiare la vita, i costumi, le credenze e i rituali della popolazione locale, i Sirieni. Nei taccuini di quegli anni compaiono disegni di oggetti quotidiani e dettagli di decorazioni delle variopinte case in legno, annotazioni di canzoni e proverbi, preghiere e scongiuri. Iniziò anche a collezionare icone, giocattoli, arcolai, incisioni e stampe popolari (i lubki) che influirono non poco sulla sua arte, come testimonia, ad esempio, l’olio del 1904 Sonntag.
Kandinskji inizia a dipingere quando ha già 30 anni, all’epoca l’età di un uomo ormai maturo, e la sua rivoluzione la compirà quando di anni ne ha addirittura 45. È con enorme coraggio quindi che, già trentenne, sposato, con un impiego e un incarico accademico, prende la decisione esistenziale di lasciare il lavoro e addirittura il suo Paese, per dedicarsi alla pittura. L’intelligenza e l’intuito lo conducono non a Parigi, bensì nell’allora esuberante Monaco di Baviera, dove ripartirà quasi da zero studiando accanto a compagni molto più giovani. Le opere di questo periodo sono incisioni, litografie, oli di tema paesaggistico ancora debitrici nei confronti del tardo naturalismo russo. Pubblica raccolte come Poesie senza parole e l’album Xylographies, uscito nel 1909 per la casa editrice parigina Tendances Nouvelles: la tecnica dell’incisione, dirà, è paragonabile alla musica, per via del suo processo di “estrazione” dalla matrice del “suono interiore” dei soggetti. Soggetti che qui provengono da leggende popolari: uccelli fatati, cavalieri al galoppo, cupole di chiese ortodosse (come ne La chiesa rossa, del 1901, qui esposta), fanciulle in costumi contadini. È una terra da favola piena di armonia spirituale, in cui le figure sono quasi smaterializzate sotto un velo di motivi decorativi.
Dopo varie peregrinazioni tra l’Europa centro-occidentale e la Russia, nel 1908 Kandinskij si stabilisce a Murnau, in Baviera. Nel frattempo ha incontrato Gabriele Münter, che diventerà per un periodo anche compagna di vita, oltre che di lavoro. Come si nota dalle opere in mostra, i dipinti di questi anni si caratterizzano per grandi zone di colore brillanti. In lui inizia gradualmente una concezione nuova: studia la teosofia, amplia le proprie frequentazioni, pensa anche a una forma di teatro “astratto” e contribuisce a fondare la Neue Künstlervereinigung München (Nuova associazione di artisti di Monaco di Baviera).
Uno dei dipinti esposti, Destino (Muro rosso), è un capolavoro del 1909 nel quale Kandinskij torna sugli elementi a lui cari in questi anni, ma soprattutto mira a sperimentare la risonanza delle sfumature cromatiche nello spirito di chi osserva: qui fa ricorso al rosso, “colore della forza sicura di se stessa”. La sua rivoluzione sta iniziando.
Non successe all’improvviso: il processo che portò Kandinskij all’astrattismo, come detto, fu il frutto di una maturazione progressiva che scaturì gradualmente dalle regioni più profonde del suo animo. Opere straordinarie come Una gita in barca, Improvvisazione 11 e Macchia nera I, realizzate tra il 1910 e il 1912, illustrano bene la sua ricerca: ecco allora la semplificazione della forma, ecco la stilizzazione, ecco la liberazione della forza creativa del colore, chiamato non più a “rappresentare”, ma a evocare sensazioni psicologiche, sonore, tattili. È un’arte che rivendica la propria distanza da ogni finalità imitativa. La riflessione sulle facoltà percettive, il desiderio di una pittura “assoluta”, l’aspirazione a edificare su fondamenta diverse la sintassi cromatica, svincolandola dalla funzione naturalistica: eccoli gli ingredienti esplosivi che faranno deflagrare una delle rivoluzioni più clamorose del XX secolo. Compiuta, con lentezza, da un distinto e riflessivo signore sui 45 anni d’età.
Era cólto, eccezionalmente cólto, consapevole, meditabondo: infatti, oltre che grande artista, è stato anche un grande teorico. Nel dicembre del 1911, ad esempio, l’editore monacense Reinhard Piper stampa il suo Über das Geistige in der Kunst (Sullo spirituale nell’arte), un trattato fondamentale nella genesi dell’astrattismo. Una settimana dopo, nella galleria Thannhauser di Monaco di Baviera, si apre la prima mostra del gruppo Der Blaue Reiter (Il cavaliere azzurro), di cui fanno parte, oltre a Kandinskij, artisti come Paul Klee, Alexej von Jawlensky, Marianne von Werefkin, Gabriele Münter, Franz Marc e August Macke. A unirli non sono né obiettivi né un linguaggio comuni ma la ricerca di una necessità interiore: nell’almanacco Der Blaue Reiter del 1912, di cui Kandinskji firma la copertina, è affrontata la questione primitivista, le cui radici sono individuate nell’arte medievale, in quella popolare russa e nei disegni infantili. L’obiettivo è illustrare l’estrema varietà di forme espressive possibili e il rifiuto di un accademismo incapace di toccare le corde dell’anima.
Toccate da musicisti esperti, invece, le corde di violini, viole e violoncelli vibravano una sera di inizio gennaio del 1911, mentre un Kandinskji estasiato assisteva all’esecuzione del Quartetto per archi n.2 in fa diesis minore op. 10 di Arnold Schönberg (Vienna, 1874 – Los Angeles, 1951), seguita da alcuni suoi Lieder e dai Tre pezzi per pianoforte op. 11. Kandinskji fu molto colpito da quei tre brani nei quali, più che in altri, Schönberg aveva sperimentato le risorse della nuova atonalità (che lui preferiva chiamare “emancipazione dalla dissonanza”), adottando un linguaggio musicale asciutto e interiorizzato. Per questo, il 18 gennaio 1911, mentre l’eco di quel concerto ancora riverbera in lui, scrive una lettera divenuta celebre nella quale, rivolgendosi al compositore che aveva fatto cadere i vincoli gerarchici tradizionali tra le singole note e gli accordi tonali, gli confessa che «nelle Sue opere Lei ha realizzato ciò che io, in forma naturalmente indeterminata, desideravo trovare nella musica».
La lenta creazione di un mondo nuovo giunge a compimento tra il 1915 e il 1917: come rivelano i capolavori esposti in questa sezione, il maestro russo è ormai approdato all’astrattismo, ovvero a una “pittura senza oggetto”. È un mondo in cui il colore si libera della linea, non ha più nessuna funzione rappresentativa ma è un mezzo autonomo, che serve a suscitare sensazioni, a manifestare l’animo dell’artista, le sue percezioni non solo visive ma anche sonore, tattili, psicologiche. Nel frattempo, mentre Kandinskji realizza la sua pacifica rivoluzione artistica, il mondo fuori ne ha in serbo di ben più cruente: la situazione politica precipita, scoppia la prima guerra mondiale e così Kandinskji, alla fine del 1914, dopo alcuni mesi trascorsi in Svizzera, decide di tornare in patria e si stabilisce a Mosca.
Anche la Russia però, non è da meno quanto a rivoluzioni: dopo quella dell’ottobre del 1917, Kandinskij riceve incarichi di insegnamento e organizzazione, e tra il 1918 e il 1921 collabora alla riforma dei musei e della didattica dell’arte. Riempiendolo delle sue idee, concepisce anche un piano di studi fondato sull’analisi della geometria e del colore e sulla correlazione di quest’ultimo con la musica. L’aria di casa lo ispira: sono infatti gli anni dei suoi massimi capolavori come Composizione, del 1916, e i due “ovali” del 1919, Ovale bianco e Due ovali, nel secondo dei quali già si intravede una tendenza alla semplificazione geometrica dell’immagine, come se fra figura e sfondo riemergesse una dialettica.
Kandinskji si concede un metaforico giorno di riposo che, nel suo caso, coincide con un ritorno all’infanzia, alle fiabe, alla letteratura e alla musica che lo avevano emozionato da bambino lasciando in lui un’impronta profonda. Anche quando era ormai famoso, i motivi favolistici, epici e fantastici continuarono ad affascinarlo. Ecco allora le piccole bagatelle, eseguite a olio su vetro nel 1918, che non solo gli davano piacere con la loro semplicità e bellezza ma gli servivano anche per fare una pausa nel processo di costante riflessione e ricerca astrattista. Sono composizioni che riprendono i temi e il mondo fiabesco russo che era già stato oggetto della sua attenzione all’inizio del secolo.
Nella nuova Russia sovietica, con Lenin al potere, le sue erano viste come “deformazioni spiritistiche” ed erano oggetto di una dura opposizione culturale e politica da parte di chi, come Aleksandr Rodčenko, Ljubov’ Popova e Nikolaj Punin, sosteneva posizioni costruttiviste e materialiste. Vedendosi isolato, nel 1921 Kandinskji, saggiamente, decide di tornare in Germania. Nella sua pittura, frattanto, la geometrizzazione, inizialmente solo accennata, diventa predominante: lo si nota nelle prime opere realizzate al ritorno in Europa, come le dodici tavole di Kleine Welten (Piccoli mondi), edite a Berlino nel 1922, a cui seguì una tela magistrale come Weißes Kreuz (Croce bianca), anch’essa in mostra, che Peggy Guggenheim vorrà nella propria collezione. Un altro cambiamento era nell’aria ma, perché il germoglio di un “nuovo” Kandinskji sbocciasse, serviva un terreno culturale fertile e il giusto clima intellettuale: Kandinskji trovò entrambi 300 chilometri a sud ovest di Berlino, in una scuola d’arte e design di Weimar. Il suo nome era Bauhaus.
A seguire, un filmato del dicembre 1963, di circa quattro minuti, in cui Nina Kandinskij, vedova del pittore, spiega a un intervistatore le regioni della causa legale da lei intentata contro il libro Der Blaue Reiter di Lothar-Günther Buchheim. Al di là della contingenza del caso, emergono alcune informazioni preziose: la sottolineatura dell’assenza di ogni componente politica nell’arte del marito, il suo ruolo nel “Cavaliere azzurro”, il periodo in Russia nella seconda metà degli anni Dieci, un asciutto ma efficace ricordo personale.